Ingegneri si diventa, ma si può anche smettere.
Per un bel po’ di tempo ho pensato che aver fatto l’ingegnere fosse un grande svantaggio nel mondo delle parole. Ho fatto di tutto per nasconderlo, ma all’inizio dei corsi di formazione i docenti hanno la terrificante abitudine di fare un giro di presentazioni. Così, per non sentirmi un’impostora, ho scelto ogni volta di lanciare subito la bomba e vedere l’effetto che fa.
La verità è che non importa a nessuno. Ho scoperto che è un buon aneddoto per rompere il ghiaccio e che, in fondo, la redenzione fa tenerezza. (Pat pat sulla spalla, dai c’è di peggio.) Mi è capitato anche di incontrare qualche collega con lo stesso percorso e allora mi sono autorizzata a respirare.
Non mi sono ancora liberata dell’ansia di dover recuperare lo scarto da chi ha una preparazione umanistica, ma inizio ad apprezzare il metodo per affrontare la complessità che mi ha lasciato il percorso scientifico.
Cose da ingegnere che non ho mai fatto
- Parlare del mio lavoro, nei dettagli, come se fosse il più figo
- Considerare ridicole e inutili tutte le altre facoltà, soprattutto quelle che iniziano per scienze ma non sono veramente scienza (politiche, della comunicazione, dell’educazione,…)
- Guardare film da nerd o leggere libri da nerd
- Diffondere le mie verità granitiche presso i non ingegneri
- Avere verità granitiche
Cose da ingegnere che non faccio più
- Battute e barzellette a tema matematico-scientifico (però mi fanno ancora ridere)
- Pensare che gli ingegneri non possono essere creativi
- Definirmi con il mio lavoro
- Pensare che un ingegnere trovi lavoro in fretta (e che se succede sia un bene)
- Considerare la razionalità più importante dell’istinto.
Cose da ingegnere che faccio ancora
- La Precisetti con il linguaggio tecnico
- Organizzare, pianificare, coordinare
- Vivere con un ingegnere
- Raccontare aneddoti sugli esami del biennio
- Leggere il libretto delle istruzioni prima di usare un elettrodomestico, anche se ha solo due pulsanti

E poi ci sono alcune cose che ho imparato e che mi servono sempre
La precisione delle parole
I miei libri di analisi matematica non avevano numeri. Erano due tomi da 600 pagine zeppi di parole: teoremi composti da ipotesi, tesi, dimostrazioni e qualche grafico. Un mio compagno venne bocciato dopo un’ora di dimostrazione impeccabile (ai miei occhi), perché all’inizio non aveva precisato il campo di validità di quello che diceva. Come se enunciassi a memoria la costituzione e venissi bocciata perché all’inizio non ho detto italiana. Ma sì dai, è lo stesso, tanto si capisce? No.
Raccogliere, disegnare e interpretare i dati
Alla fine di una ricerca per una pubblicazione si fa sempre il grafico riassuntivo: tutto si gioca lì. Il grafico funziona e il prof lo apprezza? Ignorerà le 50 pagine in cui spieghi la ricerca ma è ok, si pubblica. Il grafico non gli torna? Demolirà la ricerca in 30 secondi.
Quindi: raccogli i dati e disegnali bene.
La confidenza con il linguaggio tecnico
Non mi ricordo né la nomenclatura chimica, né la normativa antisismica. Eppure ho usato entrambe. Il linguaggio tecnico è uno strumento per descrivere la materia con precisione, ma può essere tremendamente noioso. Mi sono allenata a capirlo, trovando un modo divertente per farmelo piacere.
Ma se tutte queste cose ti piacevano, perché non fai ancora l’ingegnere?
Perché avevo segnato una netta linea di demarcazione tra quello che era lavoro e quella che era la mia vita. C’erano due me: una in ufficio – precisa, organizzata, seria – e una fuori – creativa, appassionata, curiosa. Ora è tutto insieme, ho unito i pezzi, vivo meglio e lavoro contenta.
