
Scegliere le domande, entrare in sintonia, scrivere con fedeltà
Da gennaio 2019, ogni mese, pubblico un’intervista sul sito Attenti al boma. È un progetto personale nato come esperimento, ma che è diventato un appuntamento fisso, anche via newsletter. Non sono una giornalista, ma amo le storie e qui ti racconto tutto quello che ho imparato sul fare domande alle persone per raccontare le loro esperienze.
Il risultato è un articolo molto lungo, ma ho deciso di tenere tutto insieme. Per praticità trovi qui un indice che ti permette di leggere quello che ti interessa di più.
Parliamo di:
Perché scrivere una serie di interviste
Ho scelto di usare il format delle interviste perché mi permette di esplorare un argomento da tanti punti di vista, con parole nuove e approcci diversi dal mio. È un mezzo per andare dove la mia esperienza non arriva e permette a chi legge di conoscere personaggi in cui immedesimarsi. Scrivo interviste perché è un contenuto che arricchisce chi le legge, ma anche me che scrivo.
Sembra tutto molto incoraggiante ma, ci sono sempre dei ma.
- Per usare il format dell’intervista e resistere a lungo, ti devono appassionare le persone e il motivo per cui le intervisti. Ascolteresti lo stesso le loro storie anche se non dovessi pubblicarle? L’interesse personale è utile per resistere nel tempo e per drizzare le antenne quando ci sono degli indizi che ti possono condurre alla prossima persona da intervistare.
- Anche se le parole che scrivi ti vengono regalate, le interviste non sono contenuti gratuiti. Il tempo e le energie che questo format richiede sono consistenti. Non me ne rendevo conto nemmeno io a pieno finché non ho visto la lunghezza di questo articolo 😉
Scegliere il tema per una serie di interviste
Per dare continuità al format serve un tema che fa da filo conduttore a tutte le storie. Nel mio caso tutte le persone che intervisto hanno preso ispirazione dal mare o dalla vela per iniziare un processo di cambiamento e ricerca della libertà. Intervisto soprattutto persone di mare ma sono felice che non leggano solo i velisti. Più della metà delle persone che ricevono le newsletter non sono interessati alla navigazione, ma si riconoscono nella spinta alla ricerca di soluzioni alternative da mettere in pratica nella quotidianità. Anche se il settore può sembrare molto specifico, il tema è trasversale e si presta a tante interpretazioni.
Preparare l’intervista
Come trovare le persone da intervistare
L’interesse personale è fondamentale in questa fase. Non perché serva conoscere direttamente tutte le persone da coinvolgere, ma perché permette di essere nei posti giusti e intercettare persone nuove. Metà dei miei contatti sono arrivati grazie a conversazioni nei gruppi Facebook, l’altra metà da amici o lettori che mi scrivono: ho letto questa cosa o conosciuto questa persona e ti ho pensato, vi metto in contatto?
Non cerco personaggi famosi e nemmeno sportivi professionisti. Sarebbero difficili da contattare e non otterrei il principale obiettivo: permettere al lettore di riconoscere i propri desideri e frustrazioni. La magia avviene quando chi legge mi risponde: anch’io ho provato quella sensazione, oppure: non ci avevo mai pensato, mi ha dato uno spunto.
Faccio attenzione che il mio interesse personale non mi porti a contattare persone tutte simili: per questo cerco di coinvolgere donne, uomini, giovani, vecchi, navigatori solitari, coppie e famiglie. E nonostante questo impegno, ancora non ho rappresentato tutte le diversità che il mare contiene.
Come contattare le persone da intervistare
Molto dipende da come sono arrivata a loro: quando c’è un contatto diretto o mi hanno presentato è più facile, mando un messaggio accennando al progetto e chiedo se sono disponibili ad approfondire. Se il contatto avviene sui social network, mi faccio dare il permesso per scrivere in privato. In tutti i casi, chiedo una mail per inviare con calma i dettagli.
La mail di presentazione
Quando il messaggio diretto viene letto al volo, e magari intervista viene accettata sull’onda dell’entusiasmo, la mail mette un freno e rallenta. È una piccola frizione che a volte fa rinunciare all’impegno, ma che se si prosegue, mi assicura di arrivare alla fine con un articolo pubblicabile.
Il tempo che dedico a questi contenuti è consistente e non posso rischiare che la persona realizzi solo alla fine che le sue frasi e foto saranno pubbliche, che appariranno su un sito o sui social network e si tiri indietro.
La mia email di presentazione è fatta così:
- ricapitolo come siamo entrati in contatto, usando lo stesso tono dei primi messaggi (evitando di diventare formale solo perché è cambiato lo strumento);
- inserisco una breve presentazione di me e dello scopo dell’intervista;
- uso sempre qualche riferimento che ci faccia entrare in connessione, nel mio caso i termini marinari mi permettono di essere riconosciuta come una di loro e saltare la fase di diffidenza;
- inserisco un elenco puntato di cosa succederà durante e dopo l’intervista: la registrazione (specifico che mi serve per gli appunti ma non verrà pubblicata), il tipo di foto che mi dovranno mandare, i link dove verrà pubblicato l’articolo (newsletter, sito e social network).
Esplicito tutti gli elementi trigger che potrebbero mettere in allarme qualcuno (foto, social network) perché preferisco perderli prima che dopo.
L’intervista
Di persona, al telefono o via mail?
Sarebbe bello, bellissimo, farle di persona ma richiede tempo e soldi che nel mio progetto non ho. Ne ho realizzate solo due con persone con cui ho navigato, ma la maggior parte sono interviste a distanza.
Intervista via mail
Chiedere un’intervista scritta non è un’opzione per me. Potrebbe avere senso se avessi bisogno di raccogliere informazioni o dati. Ma nel mio caso le domande sono personali, vanno a risvegliare momenti complicati e toccano temi astratti, e le emozioni vissute in alcune fasi della vita. Queste parole scritte nere su bianco intimoriscono e mettono sulla difensiva.
Difficile farsi raccontare dialoghi o aneddoti via email. Scrivendo le persone cercano di darsi un tono, limano le espressioni, non usano il dialetto o il proprio gergo caratteristico. Tutti elementi di cui invece ho bisogno per dare profondità e carattere al testo.
Intervista al telefono o video chiamata?
Lo strumento perfetto non esiste, dipende, da chi c’è dall’altra parte. Il vantaggio di usare la video chiamata è il contatto visivo, che permette di entrare un po’ a “casa” dell’altro. Guardandosi si sopportano meglio le pause,e si abbinano i gesti al tono di voce.
Se però le persone non sono a loro agio con il mezzo l’effetto è contrario: sono intimoriti dalla tecnologia, passano il tempo a controllare la loro immagine nel riquadro, si sistemano, si distraggono. Allora mi sono allenata a fare interviste al telefono con il vantaggio di ridurre le complicazioni tecnologiche e aumentare la disponibilità a dedicarmi del tempo: “ho un’ora di pausa pranzo, chiamami”
I due principali ostacoli dell’intervista al telefono sono:
- Creare una connessione personale senza contatto visivo. La soluzione che ho trovato è usare un vocabolario comune. Nel mio caso è la terminologia del mare ad avvicinarci.
- Restare in ascolto. La cosa più difficile di una telefonata è accettare le pause: non c’è il corpo che ti fa capire cosa sta succedendo e l’istinto porta a riempire i vuoti con dei commenti o altre domande e magari dall’altra parte si sta solo pensando o frugando nella memoria.
Stare a mio agio nel silenzio è il più grande insegnamento che ho tratto da questo progetto e che mi porto sia nel lavoro che nella vita: ascoltare, sopportare le pause, aspettare l’altro. Quello che emerge dopo qualche secondo di frustrazione o imbarazzo ne vale la pena.
Quanto dura la telefonata
Quando fisso una telefonata non mi prendo impegni a ridosso, voglio essere a disposizione. Ci vorrà il tempo che ci vorrà. Per avere in mano una storia, senza dover inventare, il minimo è mezz’ora, ma raramente le telefonate durano meno di un’ora. Mi è capitato di passare – con gioia – anche due ore al telefono. Alcune persone raccontano senza filtri il loro mondo interiore, altre tendono a restare sul tecnico e hanno bisogno di più tempo per cambiare profondità. Ad un certo punto tutte dimenticano che sto registrando e la telefonata diventa una chiacchierata in pozzetto.
Per chi non è mai stato in barca: il pozzetto è la zona della barca all’aperto con le sedute, dove si mangia e ci si ferma a parlare. La chiacchierata dopo cena è un momento magico, sotto le stelle, senza vedersi bene in faccia, di solito con un bicchiere in mano, si raccontano storie, esperienze e confidenze che i tuoi migliori amici non sapranno mai.

Scaletta delle domande: sì o no?
Nel format che ho scelto ogni intervista segue lo schema del viaggio dell’eroe in modo molto naturale, senza che io ponga domande precise. Lascio che la persona mi racconti l’evoluzione delle proprie scelte e spontaneamente il racconto attraversa le fasi da manuale:
- il mondo conosciuto: la vita prima del cambiamento
- la chiamata all’avventura: i dubbi
- la trasformazione: nuovi punti di vista e soluzioni
- aiutanti magici o nemici: le persone che hanno facilitato o ostacolato il cambiamento
- ritorno in un nuovo mondo conosciuto: com’è la vita ora
- nuova chiamata all’avventura: progetti e desideri per il futuro
Se durante il racconto nascono delle curiosità oppure ho bisogno di chiarimenti, mi annoto la domanda e la faccio quando il flusso si interrompe.
Non temi di essere invadente?
Questo dubbio potrebbe far ridere, ma è un timore che ho avuto e che condivido con altri introversi come me. Sono giunta alla conclusione che chi accetta l’intervista sa che riceverà delle domande personali e potrà decidere se rispondere, tergiversare, dire solo una parte della verità.
Nella pratica mi è capitato più spesso il contrario, le persone mi raccontano dettagli che poi non sarebbero così felici di diffondere. Di solito ho la sensibilità di eliminare queste parti, ma per evitare problemi ho deciso di far leggere la bozza dell’articolo prima di pubblicarlo.
Registrare l’intervista o prendere appunti?
Su questo non ho dubbi: registrare. Il vantaggi di avere una registrazione sono insostituibili:
- è difficile ascoltare e prendere appunti, il cervello fa bene una cosa alla volta; dedico tutta la mia attenzione a seguire la storia, facendo attenzione ai dettagli per scoprire dove si nasconde un aneddoto interessante;
- posso usare gli appunti per le annotazioni che migliorano l’intervista: collegamenti che mi passano per la testa o domande che voglio fare dopo per non interrompere;
- la persona è al centro del mio interesse e si dimentica della registrazione mentre è impossibile dimenticare una mano che prende appunti forsennati;
- mi capita di scrivere l’articolo diversi giorni dopo l’intervista, non posso fare affidamento solo sulla mia memoria;
- posso ritrovare espressioni tipiche o frasi da citare testualmente;
- mi tutelo: i contenuti dell’intervista non sono inventati e chiedo di nuovo nella registrazione il consenso esplicito a pubblicare intervista e foto (non mi è mai servito 🤞)
Come iniziare e come chiudere la telefonata
Inizio presentandomi, raccontando qualcosa di me che ci possa avvicinare, e ricordando il motivo per cui mi interessa la loro storia. Chiudo ricordando cosa succederà dopo, le foto da inviarmi, il permesso a pubblicarle e la promessa di inviare link quando l’articolo sarà online.
Dopo l’intervista
Sbobinare
È la parte più noiosa. Esistono degli strumenti che trascrivono il dettato, ma perché funzionino davvero serve un audio buono; purtroppo le registrazioni al telefono non si prestano.
Io sbobino a mano e ci vuole tanto tempo. Almeno il doppio di quello dell’intervista. In parte il tempo “perso” lo recupero perché ascoltando rientro nel mood del momento e della personalità. Mentre scrivo riconosco già i blocchi tematici e inizio a mettere ordine nei paragrafi.
Intervista diretta o indiretta
Ho scelto di usare l’intervista diretta: riporto domande e risposte senza inserire descrizioni o opinioni personali. Se incontrassi le persone al porto o in barca, l’ambiente meriterebbe sicuramente un po’ di attenzione.
Nelle newsletter mi riservo uno spazio iniziale per le presentazioni e uno finale, più libero, per una riflessione e rilanciare il dialogo con chi legge.
Inviare una bozza prima della pubblicazione?
Se fosse un lavoro giornalistico non servirebbe l’approvazione dell’intervistato. Nel mio caso però è nel mio interesse che la persona si riconosca nell’intervista e che la condivida volentieri, permettendomi di raggiungere persone che prima non erano in contatto con i miei articoli. Lascio che puntualizzino date e nomi o che abbiamo ripensamenti su alcune risposte troppo private per essere pubblicate on line.
Foto
Avere delle belle foto non è sempre facile, dipende dalla confidenza delle persone con la tecnologia. Mi adatto a tutti i tipi di invio: mail, WhatsApp, purtroppo a volte arrivano degli screenshot. Ogni volta la soluzione è creativa.
Formattazione
Pubblico l’articolo sul sito e lo mando via newsletter. In entrambi casi la forma dell’intervista diretta mi permette di:
- formattare le domande come dei titoli: interrompono il muro di testo e anticipano il contenuto del paragrafo che segue; il lettore può scegliere se rimanere sulla risposta o andare al titolo successivo per capire come prosegue;
- porre le domande con gli stessi termini che userebbe il lettore, come se fosse lui a far procedere l’intervista;
- formattare le risposte come paragrafi e usare il grassetto su alcune frasi chiave per aiutare l’occhio a individuare il nocciolo della risposta, lasciando il lettore libero di accontentarsi o di approfondire;
- inserire delle domande fittizie: quando la risposta è molto lunga spezzo con degli interventi che non ho davvero esplicitato, ma che sono pertinenti e aiutano nella lettura.
Quanto lunghe sono le interviste?
Uso il sito contacaratteri.it per avere una stima di quanto tempo serve a leggere l’articolo: cerco di mantenerlo tra i 5 e 7 minuti. Se sono convinta che ne valga la pena, vado oltre. Inserisco sempre all’inizio della mail la previsione del tempo di lettura, in modo che chi vuole gustarsela con calma si metta comodo.

Sembra un lavoraccio, quanto ci metti?
Difficile fare un conteggio che comprende anche la ricerca, ma sicuramente è molto più di quanto avessi preventivato all’inizio. Se non mi piacesse così tanto (e se le persone che vanno per mare non fossero una comunità così accogliente), questo non potrebbe essere un progetto auto sostenuto.
Approfondimenti
Questa è la mia esperienza, limitata al mio progetto. Se vuoi approfondire puoi leggere:
- Nick Gandolfi |Interviste e storytelling: come trovare una storia da raccontare
[Questo articolo in una riga: Se volete una storia, chiedetela e poi state zitti ad ascoltare.]
- Annamaria Anelli | Ogni intervista è una questione privata
[Questo articolo in una riga: Quelle storie sono di altre persone e la sfida è non tradirle.]
- Se vuoi sapere tutto quello che serve per fare un’intervista professionale puoi seguire Slow Journalism Masterclass organizzato da Slow News. Ho partecipato alla prima edizione (giugno 2020) e grazie a loro sono diventata consapevole dei passaggi che trovi descritti in questo articolo.
Ok, ma queste interviste si possono leggere?
Eccole qui, nella mia seconda casa, segui la rotta: Intervista il velista.